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Channel: Filastrocche Archives - I testi della tradizione di Filastrocche.it
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Filastrocca del solleone

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Filastrocca del solleone
Ogni parola di questa filastrocca dedicata al sole può diventare una coccola: mentre si legge, seguendo gli inviti presenti nel testo, ogni parola diventa gesto e coccola da fare al bambino. In questo periodo di reclusione regala la bellezza e la forza del sole e può essere un aiuto piacevole per accompagnare i più piccoli nel momento della nanna.

Il sole è un palla di fuoco nel blu
Un raggio si stacca e scende quaggiù
Si posa sul viso lo scalda e lo tocca
Poi scende e circonda il naso e la bocca
Arriva sul collo e ti fa un grattino
E il suo tocco caldo è come un bacino
Adesso quel raggio va sulla spalla
Si tuffa lì dentro e rimane a galla
Poi schizza scintille di luce e di fuoco
Che intorno al tuo braccio cominciano un gioco
Rimbalzano e saltano è un rimpiattino
Poi dentro al gomito fan nascondino
Arrivano al polso e lì fanno un giro
E tu adesso dormi come un bel ghiro.

Coccolario

 

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Leggere

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LeggereLeggere un libro,
quanta magia!
Quando lo legge,
la mamma mia.
Mille avventure
per terra e per mare.
Mille tesori…
da ritrovare!
Quante storielle
immaginate…
un tempo vissute
o solo sognate?
Aprire un libro,
quanta magia,
quando lo leggo,
in compagnia!

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Che bestia sono

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Che bestia sono

Leggiamo insieme: Che bestia sono di Janna Carioli

Mi sento dentro come il camaleonte
che cambia di colore su ogni foglia
e invece vorrei essere un pavone
che fa la ruota solo se ha voglia.

Mi sento dentro come un grosso struzzo
che nasconde la sua testa nella sabbia,
invece vorrei essere una tigre
che ruggisce e racconta la sua rabbia.

Mi sento dentro come una formica
che ha paura di essere schiacciata,
invece vorrei essere una scimmia
che si spulcia tranquilla, da sfacciata.

Dentro non so ancora come sono,
se sono gatto oppure leonessa,
ma forse più che essere animale
mi piacerebbe essere me stessa.

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La canzone delle bizze

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La canzone delle bizze

Leggiamo insieme: La canzone delle bizze di Enrico Fiorentino

“Siam le bizze: amiche vecchie
di non pochi bambinelli,
cui prendiamo per le orecchie,
per il ciuffo dei capelli;

finché vinti e resi nostri,
con maligna voluttà,
li cambiamo in tanti mostri,
sien pur fiori di beltà!

Molte al giorno ne contiamo
di coteste vittimucce:
se vedeste! Le facciamo
saltar su come bertucce!

Dalla rabbia, fuori gli occhi
stanno loro per schizzar…
colla voce di ranocchi
poi cominciano a gracchiar.

Sotto il nostro urto violento,
v’è chi arriva ad ogni eccesso:
chi calpesta il pavimento,
chi si batte da se stesso.

Chi, di bava il labbro pieno,
mentre ingrossagli il respir,
par che vomiti veleno,
o che stia per impazzir!

Babbi, mamme, amici, tutti,
dai bizzosi scappan via,
perché sono così brutti,
perché addosso han la malia:

perché un docile consiglio
loro in cor non attecchì,
perché il nostro aguzzo artiglio
per la chioma li germì.

Ora dunque che sapete
quanto orrendo è il nostro attacco,
se da lungi ci vedete,
per pietà!, levate il tacco.

Da noi bizze, o bei bambini,
non lasciatevi acchiappar…
Se altrettanti mostricini
non volete diventar”.

 

La canzone delle bizze

La canzone delle bizze

Canzoniere dei Bambini

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Nella tacita notte

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Nella tacita notte

Leggiamo insieme: Nella tacita notte di Arpalice Cuman Pertile

Già la notte silenziosa
vien coll’ombre giù dal cielo;
l’augelletto tace e posa:
dorme il fiore sullo stelo.

Culla il mar, tra veli azzurri,
l’onde sue placidamente;
senza fremiti o sussurri
vien la barca lentamente.

Passan via nell’aria bruna
preci tenere, devote,
canti flebili di cuna,
e saluti, e lievi note.

Sotto il grande firmamento
sembran l’anime sorelle,
tutte pace e sentimento:
alte vegliano le stelle.

 

Il Giorno dei Piccoli

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Quando il dolore è specchio dell’amore

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Quando il dolore è specchio dell'amore

Leggiamo insieme: Quando il dolore è specchio dell’amore di Alberto Pellai

Sono qui. Sempre qui. E mi manchi.
I miei occhi di cercarti sono stanchi.
Li sposto ovunque e rimbalzano sul muro
E dentro a questo niente, tutto è scuro.

Vorrei una mano, un bacio, un abbraccio
Senza un contatto con te, non ce la faccio
Mi manca l’alfabeto che scrive sulla pelle
le parole del tuo tocco, le più belle

“Resistere” sembra un verbo un po’ irreale
Perché senza te accanto, sento male
Male nel corpo, ma ancor di più nel cuore
E ciò che manca si fa puro nel dolore

Mi manchi e solo questo voglio dirti
Vorrei parlarti, stringerti, abbracciarti
E siccome non posso adesso farlo
Lasciate almeno che io possa gridarlo.

 

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Rima contadina

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Rima contadina
Zappa che zappi
falce che falci
c’è il cavallo
che tira calci

pala e piccone
vanga e rastrello
c’è il pastore
che tosa l’agnello

fave e spinaci
rape e finocchi
quanta passione
dentro i tuoi occhi

poi la vendemmia
per fare il vino
questa è la vita
del contadino.

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Se si sale, lo si sa

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Se si sale

Leggiamo insieme: Se si sale, lo si sa

Se si sale, lo si sa
l’orizzonte si fa in là,
e s’espande, si fa grande;
più lontano si vedrà.

Ma se siete in tre, attenzione,
fate turni di vedetta,
perché stare sulla vetta
può dar luogo a confusione.

Stare troppo a quell’altezza
può causare qualche ebrezza,
uno strano capogiro:
capogiro del vedere,
capogiro del potere.

Dunque, chi sta sopra un po’,
dopo un po’ ritorni giù,
e chi sta di sotto un po’,
dopo un po’, vada lassù.

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Girotondo

Filastrocca da ricordare

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Filastrocca da ricordareC’è un paese non tanto lontano
dove la gente si dava la mano,
si abbracciava spontaneamente
giocava e camminava liberamente.

Un brutto giorno accade qualcosa di strano:
arrivò un virus da molto lontano.
Non si vedeva da vicino,
Ero proprio assai piccino.

Saltava qua e là,
senza alcuna difficoltà.
Colpiva ciascun abitante
Ed un semplice starnuto divenne allarmante.

Cambiò tutto in un istante:
a partire dalle distanze.
Nessuno dovette più stare vicino,
Non si potè più dare un bacino!

Il Sindaco della città
ordinò cosi la chiusura di ogni attività:
né più passeggiate in bici,
né più uscite con gli amici.

Gli ospedali si riempirono di colpo,
Tutto subì un crollo:
persino la scuola chiuse i battenti
Tutti in casa attenti attenti!

La giornata fu diversamente organizzata
Si poté tutt’al più fare una telefonata,
E stare vicino ai propri cari,
grazie all’uso dei cellulari.

A questa vita non ci si poteva abituare,
per questo piano piano si ritornò a camminare,
rispettando con semplicità,
qualche regola per la propria incolumità.

Un giretto si poté rifare,
ma senza strafare!
Fu d’obbligo indossare le mascherine,
i guanti per le proprie manine.

Bisognò fare così per un annetto
o sino all’invenzione del farmaco perfetto.
Non restò che pazientare
e inventarsi un nuovo modo per poter ricominciare.

La fine della storia insegnò a tutti una morale:
e cioè “che la vita bisogna amare”
anche quando sei abituato,
goditi ciò che sembra scontato!”.

 

 

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Il paese dei bugiardi

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paese dei bugiardi

Leggiamo insieme: Il paese dei bugiardi di Gianni Rodari

C’era una volta, là
dalle parti di Chissà,
il paese dei bugiardi.
In quel paese nessuno
diceva la verità,
non chiamavano col suo nome
nemmeno la cicoria:
la bugia era obbligatoria.

Quando spuntava il sole
c’era subito una pronto
a dire: “Che bel tramonto!”.
Di sera, se la luna
faceva più chiaro
di un faro,
si lagnava la gente:
“Ohibò, che notte bruna,
non ci si vede niente”.

Se ridevi ti compativano:
“Poveraccio, peccato,
che gli sarà mai capitato
di male?”
Se piangevi: “Che tipo originale,
sempre allegro, sempre in festa.
Deve avere i milioni nella testa”.
Chiamavano acqua il vino,
seggiola il tavolino
e tutte le parole
le rovesciavano per benino.
Fare diverso non era permesso,
ma c’erano tanto abituati
che si capivano lo stesso.

Un giorno in quel paese
capitò un povero ometto
che il codice dei bugiardi
non l’aveva mai letto,
e senza tanti riguardi
se ne andava intorno
chiamando giorno il giorno
e pera la pera,
e non diceva una parola
che non fosse vera.
Dall’oggi al domani
lo fecero pigliare
dall’acchiappacani
e chiudere al manicomio.
“È matto da legare:
dice sempre la verità”.
“Ma no, ma via, ma và …”
“Parola d’onore:
è un caso interessante,
verranno da distante
cinquecento e un professore
per studiargli il cervello…”
La strana malattia
fu descritta in trentatre puntate
sulla “Gazzetta della bugia”.

Infine per contentare
la curiosità
popolare
l’Uomo-che-diceva-la-verità
fu esposto a pagamento
nel “giardino zoo-illogico”
(anche quel nome avevano rovesciato…)
in una gabbia di cemento armato.

Figurarsi la ressa.
Ma questo non interessa.
Cosa più sbalorditiva,
la malattia si rivelò infettiva,
e un po’ alla volta in tutta la città
si diffuse il bacillo
della verità.
Dottori, poliziotti, autorità
tentarono il possibile
per frenare l’epidemia.
Macché, niente da fare.
Dal più vecchio al più piccolino
la gente ormai diceva
pane al pane, vino al vino,
bianco al bianco, nero al nero:
liberò il prigioniero,
lo elesse presidente,
e chi non mi crede
non ha capito niente.

 

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Disse un gatto…

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Disse un gatto

Leggiamo insieme: Disse un gatto… di Mario Giusti

Disse un gatto a un topolino
rintanato in un buchino:
“Cosa fai, rinchiuso e solo,
senza cibo, mio figliolo?
Cosa fai nella casetta
così vuota e così stretta?
Ti compiango, disgraziato!
Sembri proprio imprigionato.
Vieni fuori, vieni al sole
tra le rose e le viole…
Vieni a fare il girotondo
per le vie del nostro mondo,
che è sì grande, che è sì bello,
che ha ogni gioco pazzerello!”.

Disse il topo al gatto astuto:
“Mascherina, ti saluto!
La mia casa è la mia gioia:
qui nessun può darmi noia.
il mio covo è nel solaio
al riparo d’ogni guaio!
Il tuo mondo è vasto assai,
ma è anche pieno di gran guai:
vi son savi e vi son matti,
troppi cani e troppi gatti,
vi son trappole e polpette,
gufi, serpi e le civette…
Il tuo mondo è falso e astuto!
Mascherina, ti saluto!”.

 

Disse un gatto

Disse un gatto

Fonte dell’Immagine: Illustrazione di Bruno Caluri tratta da Mondo bambino di Mario Giusti (Pia Società S. Paolo – 1941)

 


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Il pane

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pane

Leggiamo insieme: Il pane di Renzo Pezzani

Pane, panetto mio,
così buono ti vuole Iddio.
Così dorato, così croccante,
sei uscito da mani sante.

Sei sbocciato come un fiore
dalla gioia e dal dolore,
dalla terra lavorata,
dal sudore che l’ha bagnata.

Pane, panetto mio,
così buono ti vuole Iddio.

 

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Segreti

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Segreti

Leggiamo insieme: Segreti di Lina Schwarz

“Io so un segreto”. “Tu? Proprio davvero?”.
“Sì, ma non dirlo, per l’amor di Dio!”.
“Ma sei sicuro ch’è un segreto vero?”.
“Lo sa soltanto qualcun altro ed io!”.
“Ma come l’hai saputo?”. “Eh! Me l’ha detto…”.
“Chi?”. “Il cuoco…”. “E che cos’è?”. “Fanno… Il sorbetto!”.

 

Il Libro dei Bimbi di Lina Schwarz

 

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Perdono!

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Perdono

Leggiamo insieme: Perdono! di Lina Schwarz

No, non lo farò più, te lo assicuro!
Le mie bizze dimentica e perdona!
Non mi far più quel viso così scuro,
dammi il tuo bacio, o mia mammina buona.

Se penso al dispiacere che t’ho dato,
quasi quasi da piangere mi viene…
Che, sorridi? M’hai dunque perdonato?
O mamma mia, quanto ti voglio bene!

 

Il Libro dei Bimbi di Lina Schwarz

 

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Sei un cuoco sopraffino?

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Sei un cuoco sopraffino

Leggiamo insieme: Sei un cuoco sopraffino?

Sei un cuoco sopraffino?
Nota, allora, sul taccuino:
a me il cuor non cucinare:
non lo posso sopportare.

Scuoti bene l’insalata:
se c’è lacqua è ancora bagnata!

Come cuoio è la braciola
se sul gas la lasci sola:
devi sempre sorvegliare
che non s’abbia ad attaccare!

E se cuocere non sai,
torna a scuola e imparerai!

 

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Angelo piccino

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Angelo piccino

Leggiamo insieme: Angelo piccino di Arpalice Cuman Pertile

“Buoni angioli del cielo,
l’avete dentro il velo
la piccol creatura,
graziosa, bianca e pura?
Son pronte già la culla,
le fasce, la cuffietta;
ormai non manca nulla,
la mamma sua l’aspetta:
l’avete dentro il velo,
buoni angioli del cielo?”.

“Il bimbo qua teniamo,
nel mondo lo portiamo;
ma piange, poverino!…
È un angelo piccino
che viene nella vita
sì grande ed infinita:
la mamma vuol trovar,
sul cuore suo posar”.

 

Angelo piccino

Il Giorno dei Piccoli

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La pesca di Fortunato

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La pesca di Fortunato

Leggiamo insieme: La pesca di Fortunato

Questo è Fortunato
che pescava in barchetta.

E questa è l’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

E questo è il pesciolino rosso,
che abboccò all’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

E questa è l’acciuga
che mangiò il pesciolino rosso,
che abboccò all’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

La pesca di Fortunato

E questo è il nasello,
che inghiottì l’acciuga,
che mangiò il pesciolino rosso,
che abboccò all’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

E questo è il merluzzo,
che ingoiò il nasello,
che inghiottì l’acciuga,
che mangiò il pesciolino rosso,
che abboccò all’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

E questo è il tonno
che afferrò il merluzzo,
che ingoiò il nasello,
che inghiottì l’acciuga,
che mangiò il pesciolino rosso,
che abboccò all’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

E questo è il pescecane,
che divorò il tonno,
che afferrò il merluzzo,
che ingoiò il nasello,
che inghiottì l’acciuga,
che mangiò il pesciolino rosso,
che abboccò all’esca,
gettata da Fortunato,
che pescava in barchetta.

La pesca di Fortunato

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Io coltivo

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Io coltivoIo coltivo una piantina,
dalla sera alla mattina.
Questa pianta non ha fiori
ma ha gli atti miei migliori.
Cresce sempre, ogni dì
son felice sia così.
Lei si nutre di gentilezza
e di amorevolezza.
La piantina dell’amore
cresce in ogni dolce cuore.

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Una scuola un po’ strana

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Una scuola un po' strana
Certo, è stata una scuola un po’ strana…
tutti rinchiusi come in una tana.
Coi collegamenti a volte un po’ lenti,
con le maestre e i compagni distanti.
Certo, non è stato poi così semplice,
studiare e scrivere in questa cornice.
Mi manca la scuola degli abbracci e dei baci,
dei sorrisi e degli occhi vivaci.
Dietro allo schermo non è poi così bello,
si stanca di più il nostro cervello.
Ma cari bambini, una cosa è sicura…
l’anno venturo sarà meno dura!

 

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